QUEL BLOG
N.d.A: Fatti e personaggi descritti in questo lavoro di fantasia hanno una valenza esclusivamente onirica rilevante ai soli fini letterari.
Ne è esclusa, pertanto, qualsiasi attinenza con la realtà.
Si era avvicinato a quel blog molto faticosamente, con una strana diffidenza che scaturiva dal nulla per defluire viscosamente in qualche ansa segreta delle sue circonvoluzioni cerebrali.
Che su quello strano e pericoloso oggetto aveva disperatamente blindato a tutti. E sopra tutto a sé stesso.
Eppure poco a poco gli si era insinuato nella mente e, come aveva temuto, era diventato prima un incubo e poi una piacevole e trasgressiva ossessione.
L’incubo si era trasformato inesorabilmente in sogno. L’ossessione in desiderio.
La trasgressione in foia animale inutilmente repressa e quindi continuamente sfogata. Giorno dopo giorno. Notte dopo notte.
Durante il sonno l’atmosfera fluida di quel blog gli si era condensata attorno fino a materializzarsi, macigno su macigno, in una buia spelonca. Poi in un antro terrificante, ed infine in un castello a tratti cupo e tenebroso, ma a tratti più luminoso ed orgasmico delle stelle nere che lo sovrastavano.
Sinistre armature di maschi facevano da tappezzeria alle pareti di nuda pietra delle sue sale. Immobili. Ininfluenti.
Diafane trasparenze di femmine vagavano per quegli oscuri ambienti, rallegrandoli per quanto possibile e lasciandosi dietro i loro passi leggeri scie di aromi pregni di essenze afrodisiache.
Le aveva seguite disperatamente per notti e notti quelle scie, come un cane da tartufo in un campo di papaveri, stordito dalle fragranze dell’oppio, abbrutito dal rosso dei fiori, drogato da una passione che si ingigantiva come il suo membro esasperato.
Non sapeva come individuare le tappe del suo percorso, sentiva soltanto di doverlo seguire cancellando i suoi pensieri, soffrendo o godendo di tutto quello che avrebbe incontrato.
Fatti i primi passi si era sentito ardere, improvvisamente immerso nelle fiamme infernali di Hell, bruciando come l’anima dannata di un reo condannato al supplizio di un Tantalo affamato, non di cibo ma di sesso, e circondato da corpi nudi di donne inutilmente offerte ma a lui negate per volontà degli Dei.
Aveva continuato a vagare nel labirinto che quel blog gli aveva calato attorno.
E si era perso nelle spire misteriose ed incomprensibili di pensieri e parole che lo avevano fatto meditare a lungo e solo a conclusione di un lungo percorso era riuscito ad identificarne la fonte. Isy.
Aveva temuto di annegare, ma alla fine era riemerso piacevolmente sorpreso dall’atmosfera battagliera e pugnace della sala delle armi dove lei forgiava alla rivalità ed alla competizione le sue seguaci guerriere.
Si era appena lasciato alle spalle lo sferragliare delle spade ed i colpi sordi delle mazze quando si imbatté in un’alcova fatta soltanto di luci accoglienti e di suoni accattivanti.
Aveva accettato l’invito. Nel sonno, e nel sogno, aveva giocato fino ad estenuarsi con i capezzoli a bottoncino di Giovanna leggendo con lei quel suo racconto erotico che lo aveva portato ai limiti dell’orgasmo. La sua voce arrochita dal desiderio si era mescolata a quella argentina della donna come fossero gli umori di un amplesso infinito che aveva trovato la sua immatura fine in un brusco risveglio notturno, intriso del piacere esploso tra i suoi seni lussureggianti.
Si era riaddormentato, immediatamente risucchiato in quel blog. Sopraffatto dalla sua stessa mente invasata che vagava per le sale del castello alla ricerca delle sue Dee. O delle sue Demoni.
Le rigogliose forme di Anna che attraversava il parco cavalcando a pelo il suo bianco unicorno. Bianco come la pelle che la lunga capigliatura mostrava e celava. Celava e mostrava sotto le stelle ai suoi occhi divenuti per incanto propaggini esasperate di tutti gli altri sensi ormai fuori controllo.
Con il trascorrere del tempo il contrasto tra la luce del giorno, una catarsi che lo avvolgeva, lo purificava ed il buio della notte che lo trascinava nei suoi incubi alterati dalla voluttà lo stava portando oltre il limite della follia.
Barbara gli si materializzò improvvisamente davanti agli occhi. Avvinta ad una figura indistinta quasi fossero due corpi intrecciati di Medusa, lucidi nell’espressione del loro godimento, estremi nel suo raggiungimento.
I sogni si accavallavano, si sovrapponevano, s’intessevano gli uni con gli altri. Trama ed ordito delle sue voglie, delle sue concupite evanescenze.
Riusciva, ormai, a raggiungere la terra di nessuno dove il confine tra il desiderio esacerbato da quelle apparizioni e l’appagamento sessuale si annullava fino a trasformare la sua solida ed incessante penetrazione in densa e tiepida linfa liberatoria.
Erano Streghe o Madonne quelle che lo accompagnavano nel suo cammino infoiato di miti e di tragiche brame?
Gli sovvenne, sogno nel sogno, l’oscura storia di Vittoria mandata al rogo nei Secoli Bui. Salì sul falò in fiamme che ne torturava le tenere carni e bruciò assieme a lei.
Il suo piacere fu tanto intenso ed esuberante che spense il fuoco lasciando i loro corpi nudi a luccicare al firmamento sotto gli sguardi attoniti della plebaglia sporca e vociante che affollava la piazza.
Erano accorsi a cercare il piacere nel fuoco e adesso lo stavano trovando, quel piacere, tra le cosce ardenti delle loro donne, proprio come lui lo faceva tra quelle della sua Strega
Ancora impalata sulla pira lignea ormai spenta, eppure ancora accesa di voluttuosi sollazzi, di lombi ardenti, di violenti colpi delle sue reni frenetiche.
Vagò a lungo dopo quella ardente esperienza, e mentre ancora avvampava dopo aver domato alla sua maniera quelle fiamme, tutte le fiamme, raggiunse la grande sala.
Galeotto fu il libro che nel nuovo sogno incombente scrisse a quattro mani con Nina. Mani sopra il lungo tavolato della sala dei banchetti intente a trasformare in parole i loro giochi leziosi.
Mani sotto il tavolato che senza alcuna esitazione s’intrecciavano cercando affannosamente il piacere assoluto e trovandolo nel guizzare delle cosce e dei sessi, nel frusciare delle sete orientali che fino a qualche istante prima li avevano inutilmente protetti dalle loro smanie di possesso.
Lunghi ed oscuri camminamenti percorsi in preda alla frenesia erotica che lo spingeva ad andare avanti, a non fermarsi fino alla tappa successiva che gli avrebbe donato l’onirico godimento del potere, oppure della contemplazione,
o forse della scoperta.
La stele.
Si stagliava in quella che più che una grande sala aveva assunto improvvisamente l’aspetto di un antro.
Un alto obelisco di marmo rosa come la pelle di una Principessa eretto alla memoria di tutte le deliziose ospiti di quel blog apparse, scomparse e poi riapparse per scomparire di nuovo nei meandri del castello dei sogni proibiti, degli incubi sfiorati, delle fantasie perverse realizzate, dimenticate e rinnovate mille volte per salvarle ancora per qualche ora dall’oblio perenne.
Era stato scolpito dalle mani sapienti degli stessi Dei che avevano creato la donna e che avevano assoggettato quel materiale granitico alla tenerezza delle sue carni.
Morbidi seni di dura roccia , capezzoli appena accennati, cosce tornite come colonne create per sorreggere soltanto il Tempio della Lussuria, visi velati o celati, corpi senza volto, fiori sbocciati, provocatoriamente dischiusi nel mezzo di natiche levigate ed invitanti. E di ventri accoglienti, già bagnati della rugiada dell’attesa.
Se l’era lasciata alle spalle chiedendosi se le avrebbe ritrovate quelle fattezze dimenticate quando fu avvolto all’improvviso da un intenso profumo di agrumi. Una fragranza forte e densa che lo seguì a lungo e nel momento in cui finalmente gli sembrò che lo avesse raggiunto si dissolse lasciandogli tra le mani un fiore di Zagara.
Inseguì lunghi e sontuosi scaloni di pietra, ripide e tortuose scale intagliate nella roccia e si ritrovò, alla fine, ai piedi delle quattro torri.
Sapeva, perché glielo aveva confidato Morfeo stesso, coautore dei suoi incubi, che la prima torre custodiva la preziosa Biblioteca del maniero. La difendeva dagli attacchi del tempo e dei barbari.
Contro l’ampia vetrata della sala dei libri, grandi, polverosi, severi quanto sa esserlo chi tramanda il sapere, si stagliava la diafana figura di Faraluna.
Era intenta a studiare il mondo emerso e la sua varia Umanità. Ma anche quello ancora sommerso per riportarlo alla luce della conoscenza. Ogni delicato gesto delle sue mani che sfioravano appena le pagine che andava girando evocava la promessa di carezze che gli sarebbero sempre state negate. Sognate, anelate ma irraggiungibili persino nella più folle delle visioni.
Una dolce inquietudine lo assalì quando in una notte di luna piena si decise a varcare la soglia della seconda torre, ricavata scavando direttamente la sommità del ruvido massiccio su cui si abbarbicava il castello dei suoi incubi più folli e dei suoi sogni più belli.
Gli si spalmò addosso lentamente, estenuandolo di parole e sensazioni d’amore che scivolarono subito via per raggiungere il loro naturale destinatario.
Quella inquietudine gli restò addosso a lungo, ma non era più tanto dolce.
La terza torre disegnava nell’aria la sua robusta struttura che andava
assottigliandosi mano a mano che si avvicinava al cielo dividendosi, infine, in due altissime cuspidi.
Lui sapeva che ognuno di quei pinnacoli ospitava una delle due gemelle. Le raggiunse e ne godette intensamente.
Quando finalmente approdò alla quarta torre dopo mesi di aneliti insoddisfatti e di segrete voglie, la trovò diversa, totalmente avulsa dal sogno e dal contesto.
Era d’avorio e la Donna che la impreziosiva gli apparve reale come una favola, Regale come una Madonna.
Nelle sue tante illusioni diurne, nelle infinite chimere notturne che lo avevano sino ad allora condotto prima timidamente, poi baldanzosamente a quella torre, lui aveva lasciato nell’aria leggera e frizzante che vi si respirava tutte le piume dei suoi cappelli, tutte le spire dei suoi mantelli.
Tutte le voglie di lei che adesso finalmente gli sorrideva dai mille anfratti delle pareti, dalle inesauribili fonti della luce del Mondo che la baciava e che rinnovata e rinvigorita dalla sua luce di dentro la rendeva un’apparizione divina.
Milady l’attendeva sul suo morbido seggio di caldi broccati e di petali appena dischiusi. Quando la raggiunse il suo trono di Regina si sciolse sul pavimento e lui si sciolse nel corpo che voluttuosamente gli offriva.
Dopo notti e notti agitate di sonni inquieti e di sogni allettanti fino all’orgasmo o perversi sino alla perdizione, al suo ultimo risveglio credette di aver portato a termine l’impresa che il fato gli aveva assegnato.
Ma fu proprio in quell’istante che si rese improvvisamente conto che il suo vero sogno era lì. Che lo poteva godere ad occhi aperti o possedere nel sonno.
Titania, Regina delle Fate, procedeva nel Bosco delle Chimere avvicinandosi a lui avvolta di veli e sorrisi, vestita di gioia e piacere, nuda d’amore.
Mentre la prendeva per possederla, la penetrava per dominarla sollevò lo sguardo e vide incombere sui loro corpi allacciati le 10 tavole di Raz.
Solo allora comprese quale fosse la sua vocazione. In quell’istante capì il vero scopo del suo viaggio in quel blog.
Ringraziò con un pensiero fugace il Maestro e venne godendo del ventre ospitale della Donna dei suoi sogni futuri.